venerdì 24 gennaio 2014

Jean Vigo

Parigi 26/04/1905 - Parigi  15/10/1934.  Muore a 29 anni.

Figlio di anarchici (il padre è: Eugène Bonaventure de Vigo, di origine basca, detto: Almereyda) figura simbolica di un movimento di lotta, (oscure trame politiche che hanno segnato la Francia nei primi decenni del '900) sarà per questo assassinato in carcere nel 1921 (Secondo alcuni però, è morto di appendicite!). Jean ha solo 16 anni.

Sin da piccolissimo, sua madre lo avvolgeva in una coperta e lo portava in giro per la città, alle riunioni anarchiche, forse questo vagare notturno in zone umide e fredde, minerà la salute del regista, che morirà molto giovane. Per tutta la vita, Jean cercherà di ribaltare la memoria del padre, e i fatti fin qui narrati, segneranno la sua vita e le sue opere, che sono solo quattro, anzi, tre e mezzo visto che L'atlante non riesce a montarlo, eppure diverrà una delle figure di maggiore spicco nel panorama cinematografico internazionale e di tutti i tempi.

“Col pretesto che il cinema è nato ieri, noi ce ne serviamo infantilmente, nello stesso modo in cui un papà balbetta per farsi comprendere dal suo bimbo. Dirigersi verso un cinema sociale è consentire di svolgere una miriade di soggetti che l’attualità consentirebbe di rimuovere di continuo. E’ liberarsi da due paia di labbra che mettono tremila metri per unirsi e quasi altrettanti per staccarsi”
J. Vigo.

 “Lo sguardo liberatorio di Vigo ha scosso alle fondamenta l’intera storia del cinema. Insieme ad altri disertori della morale corrente, come Orson Welles, Luis Buñuel… Carl Th Dreyer, Dziga Vetrov, Jean Luc Godard, Pier Paolo Pasolini… Vigo ha “messo a fuoco” i pregiudizi e il costume del proprio tempo. Ha visto nella ragione dei potenti il sopruso e nella cultura cattedratica, un’operazione di oltraggio contro ogni individualità creativa. Con Vigo il cinema brucia. Viva il cinema!
E anche:

“Vigo considerava la bibbia come la  lebbra, e lo Stato un mattatoio, dove l’ingiustizia sociale e la divisione tra liberi e non liberi distruggono ogni forma reale di consapevolezza dell’esistere. Il suo cinema indica il passaggio dall’età della necessità a quella della libertà, preconizza sullo schermo la costruzione di una società priva di padroni che nasce da una comunità di uomini… Quello che Vigo disseminava nei suoi film era un’anarchia lucida, amara, radicale e infondeva in ogni metro di pellicola, l’amore per l’utopia e le turbolenze della libertà.”
“Uno dei principi estetici che seguiva, era quello del “cineocchio” di Vetrov, il quale scriveva nel saggio “L’occhio della rivoluzione, scritti dal 1922/1942"
“...Non dobbiamo copiare l’occhio, ma riuscire a contrapporre una vita com'è vista da un occhio armato di macchina da presa, alla vita com'è vista da quello strumento imperfetto che è l’occhio umano.”  
Pino Bertelli nel libro –interessante- “Cinema dell’eresia” NDA press -15 Euro

Nb: Molto di quello che scrivo in questo post, deriva dallo studio di Bertelli! 


Morto il padre, Jean si separa dalla madre e va a vivere sulla Costa Azzurra, da un amico di famiglia, Gabriel Aubés, per via della salute cagionevole e per problemi economici che deve affrontare.  
Studia in un collegio sotto falso nome (Jean Sallese), a causa del clima violento e pericoloso che aveva investito la famiglia Vigo, dopo la morte del padre. 
Giovanissimo, dovrà ricoverarsi in un sanatorio a Fort Rameau. La scuola non è il suo forte e non sarà mai fra i migliori della classe. Ama leggere libri di storia e romanzi sociali. Guardando Charlot scopre l’amore per il cinema. –Pino Bertelli-

City lights - C. Chaplin. 1931 
Incontra Lydou (Elisabeth Lozinska)♥ e con lei si trasferisce a Nizza dopo le nozze.
Ha 20 anni quando il cinema diventa la sua ragione di vita e questo nonostante le condizioni di vita estremamente precarie, sia da un punto di vista economico che di salute. Grande è il ruolo nella sua formazione “estetica/ideologica” di registi come Vetrov, e Buñuel.

 “Vigo resta fulminato dalla radicalità visuale di –un chien andalu- 1929- di L. Buñuel e scriverà che questo film insegna a “Saper guardare con altri occhi che non quelli abituali” poiché gli occhi abituali sono anche quelli posti al servizio della cecità morale, dell’indifferenza, della messa a morte del senso da parte di quella ideologia dominante che si maschera dietro le pretese del “senso comune” e dietro una morale di schiavi.” Bertelli, nel libro “Cinema dell’eresia”  –p 11- "cinema dell'eresia" 
 
Kaufman, Vigo. 
Decisivo è l’incontro con Boris Kaufman, fratello minore di Dziga Vetrov, direttore della fotografia francese di origine russa. Nel 1927 emigra in Francia, dove conosce Vigo che lo fa lavorare come operatore al documentario “A proposito di Nizza” del 1930, e lo richiede anche per gli altri suoi due film…  Così Vigo “Scopre” l’avanguardia sovietica, dopo aver incontrato quella occidentale, a Parigi, in un cinéclub.


A propos de Nice  - Documentario di Jean Vigo. 1930 


1930 A PROPOSITO DI NIZZA/A propos de Nice. Point de vue documenté  

Ecco dunque il regista alle prese con la sua prima regia. Alla fotografia,  Boris Kaufman. “…ed è subito cinema di poesia” –Bertelli. Mesi di preparazione e di ricerche, migliaia di metri di pellicola impressionati con una m.d.p di seconda mano.
= La m.d.p segue le sfilate di carnevale, le passeggiate dei borghesi in vacanza e le contrappunta con immagini di scene desolate della città, il tutto con movimenti asciutti e seducenti.
= Il volto preso alla sprovvista dei turisti viene mischiato con sapiente regia (Montaggio incrociato) alle maschere del carnevale e l’esito è un effetto beffardo e corrosivo.
= Nel film troviamo anche immagini simboliche, trasgressive, come piedi nudi coperti di lucido come fossero scarpe, o una donna nuda seduta sulla Promenade des Anglais, e altro.
= Presentato una prima volta al Vieux Colombier di Parigi, ottiene consensi ma quasi nessuna recensione.
= Pochi giorni dopo, nuova presentazione del film nello stesso luogo, questa volta sarà Vigo stesso ad introdurre il lavoro.  Per l’occasione scrive: “VERSO UN CINEMA SOCIALE” e qui espone le sue teorie sul punto di vista documentario:

“… Verso un cinema sociale teso a risvegliare echi diversi dai tutti di quei signori e signore che vengono al cinema per digerire” “La m.d.p. deve essere puntata su ciò che va considerato come un documento e che in fase di montaggio deve essere interpretato come un documento”
Jean Vigo.

Aspettando di poter realizzare un nuovo film, crea a Nizza un CINECLUB (Les amis du cinéma), inaugurato da G. Dulac, regista. L’iniziativa diverrà presto un modello per situazioni analoghe che si vanno creando ovunque in Francia. 
-Sfruttando la situazione, Vigo guarda molti film, e si misura con la critica.

Taris, campione di nuoto francese, sulla cui figura,
Vigo realizza questo documentario. 
1932 TARIS O IL NUOTO/Taris ou la natation .
–corto di 12 min nel quale si intende promuovere il nuoto attraverso Taris, che in questa disciplina primeggia. 
-Da un p. di vista cinematografico: summa dei motivi di avanguardia, anche se Vigo è insoddisfatto.

Scrive Bertelli:
“In Taris, Vigo riesce a intrecciare il “meraviglioso” nel quotidiano … Nel suo cinema, la magia dell’acqua, si presenta come forma placentare di pensiero e sembra dire: “Abitare è essere ovunque a casa propria”. O meglio, solo il fantastico può dare vita a un’ altra intelligenza. L’inatteso, il disordine, lo sconosciuto, l’assurdo, l’ impossibile … L’acqua che scorre nei suoi film (quella del mare, nelle passeggiate a Nizza, o la piscina di Taris, o le latrine visitate in Zero in condotta, o l’acqua magica del canale di L’Atlante), è parte della storia narrata... disvela a ciascuno ciò che è misterioso e sconosciuto…
L’uomo nasce innocente e buono, diventa mostruoso e vigliacco con la famiglia, il lavoro, la chiesa, lo stato, la guerra… il suo cinema intende riappropriarsi della felicità originaria, del tempo in cui miseria, sfruttamento e violenza, erano banditi da ogni casa/cuore.”

Zero in condotta. Scena della lotta di cuscini. 
1933 Zero in condotta, 44 min. B/N.
        Il film nasce grazie ai fondi di Nuñez, un ricco allevatore che vuole fare il produttore di film.
        Le riprese durano poco più di una settimana. (otto giorni negli studi, nove e mezzo negli esterni)
        = Gli interni sono girati negli studi della Gaumont, gli esterni a Saint-Cloud, con l’assillo della frettal’obbligo di rimanere nei 1.200 metri di pellicola imposti dal produttore.

Qui si ribadisce l’utopia anarchica di Vigo, il senso di rivolta contro ogni forma di autorità, e l’amore disperato per la libertà politica, di religione e di colore della pelle di ogni individuo (uomo o donna)
Il film è ambientato in un collegio, nel quale i ragazzi rientrano dopo le vacanze. Sul treno, che li riporta in istituto, si narra il clima gioioso che è proprio dei ragazzi, ma poi l'incontro con le istituzioni, incupisce gli animi, solo Huguet (Recitato da Jean Dasté e che spesso sembra omaggiare Chaplin nel corso del film), sembra più vicino alla mentalità dei ragazzi che a quella degli altri adulti bacchettoni. Il rettore è un uomo molto basso (interpretato da un bambino) e si nota un intento canzonatorio ben riuscito verso le istituzioni.
La rivolta avrà luogo il giorno della festa del collegio, ma sarà decisa di notte, in camerata, da tre figure dominanti: Caussat, Colin, Briel, sottoposti alla punizione. I ragazzi salgono sul tetto e, da lì, lanciano molliche di pane e oggetti vari al cortile in cui tutti si preparano a festeggiare. Infine issano la bandiera dell'anarchia sul tetto, per sancire la loro vittoria.

AUTOBIOGRAFICO
Amarezza e rabbia concorrono nel narrare con delicatezza ma anche con forza, la storia personale del regista, e questa ricetta vincente fa si che il film mantenga la sua freschezza negli anni (Come sarà per “I 400 colpi” Truffaut)

Infanzia e adolescenza di Vigo finiscono sullo schermo, così come le infelici esperienze personali e le sofferenze del padre, che Jean aveva sentito descrivere da bambino. Finite le riprese, il regista dirà a un giornalista: “Questo film è talmente la mia vita da bambino che non vedo l’ora di passare ad altro”

= La sequenza più celebre: Giovani collegiali in rivolta, che inscenano una sorta di danza sui letti, sotto la pioggia di piume di sapore squisitamente liberatorio.

Questo film abolisce ogni legame familiare, culturale, ideologico. Vigo dice di non avere né madre né padre, né città o paese che gli appartengono… non ha più niente! Solo compagni di gioco e di strada. Per il regista il collegio è la metafora della società borghese, ma evita gli schieramenti oppressore/oppresso, e non contempla l’ipotesi di una futura “lotta di classe”.  Il suo inno alla  ribellione è fedele al suo credo anarchico.
Durante la rivolta nel dormitoio, una processione di ragazzini: Tono blasfemo, perché segna la dissacrazione dei rituali del cattolicesimo inoltre, durante la festa: clero ed esercito sono rappresentati da manichini

Il film di Vigo getta il linguaggio cinematografico fuori dalla “fabbrica dei sogni” La macchina-cinema non riflette quello che sa, filma solo quello che ignora. Seduce ma non interroga, sconvolge ma non interroga. –Borelli- E ancora, la fotografia del film (curata da Kaufman) è grezza, sofferta, randagia, ma spesso raggiunge la “Bellezza documentaria” di “La passione di G D’arco” di Dreyer, di “Boudu salvato dalle acque” Renoir…
La musica invece gli conferisce un tono di malinconia e leggerezza, e sottolinea l’impossibilità di essere felici in una vita in cui gli umori politici segnano il destino dei popoli del mondo,

Il film incarna il rifiuto di ogni ragazzo a sopprimere la propria immaginazione, fantasia, libertà…qui viene liquidata quella filosofia, psicologia, dottrina dell’adattamento, che il sapere degli adulti porta contro i bambini e continua a perpetuare “piccoli servi” della civiltà dello spettacolo. Gli adulti nel film non hanno  la parola, e la bandiera che viene issata sui tetti del collegio è quella dell’anarchia.

Il film sarà proibito dalla censura (riapparirà solo nel 1945!) per la carica distruttiva ed irriverente delle sue immagini, contro le istituzioni (Professori, scuola…adulti!)
Scrive  Borelli: 
“Le opere di Vigo sono un atto di accusa contro il pensiero istituzionalizzato e istituzionalizzante. Un invito al viaggio onirico nella trasgressione, nella disobbedienza, nella rivolta. Zero in condotta verrà proibito in Francia perché ritenuto lesivo alla comunità, pericoloso per l’ordine costituito.
= Il giornale cattolico “Omnium Cinématographique” scrive che il film è “opera di un maniaco ossessionato, che esprime senz’arte i suoi turbamenti… e aggiunge “Sarebbe necessario che una censura ci fosse, una vera!
= Non troppo diverso il tono del presidente della commissione di controllo, Edmond Sée: “Su tutte le questioni artistiche e morali, la nostra opinione è preponderante…ma per i film che possono creare disordini e nuocere al mantenimento dell’ordine, il parere dei rappresentanti dei ministeri dell’interno, e degli affari esteri, ha forza di legge. Il loro veto è insomma, senza appello”
= Un amico di Vigo scrive in sua difesa: “Il tuo film credo di averlo capito, e mi ha trascinato… ci ritrovo le mie idee contro un governo marcio che, eletto da una nazione di imbecilli, ci conduce ora verso una decadenza sicura e precipitosa. Bisogna che il collegio sia rovesciato, bisogna issare bene in alto la bandiera della rivolta, perché la gente intelligente la veda”
= Il film circolerà clandestino nei cineclub d’Europa  (pag 9  Borelli “Cinema dell’eresia")

La critica di destra si scandalizza per tale divieto, quella di sinistra storce il naso e ciò non giova al regista, costretto ad accontentarsi di una sceneggiatura banale e stucchevole, da un soggetto mediocre di Jean Guinée (Pseud. per R. Guichem) che poi diventerà: L'atlante. 
L'Atlante J Vigo 1934 
1934 L’ATLANTE  è il suo ultimo film, e non sarà mai concluso, perché il regista morirà prima del montaggio.
Questa era l'idea originale alla quale Vigo avrebbe dovuto attenersi: 
Juliette, giovane contadina, sposa Jean, (doppia J, come più avanti Roché nel libro “Jules et Jim”) proprietario di una chiatta, sulla quale vive col vecchio Jules (è lo stesso nome di un personaggio di Roché. A mio avviso, ci sono molti punti in comune fra la storia di Roché, l'adattamento di Truffaut, che amava Vigo, e "Jules et Jim" cinematografico che ben conosciamo), un mozzo e un cane.
Approdati in terra ferma, la ragazza riceve avances da un marinaio, che le propone di seguirlo in città. Lei, turbata, sale sul treno e fugge. Jean per orgoglio non va a trovarla e riparte senza di lei. Tempo dopo la chiatta fa scalo in città e il vecchio Jules si mette alla ricerca di Juliette. La trova in una chiesa, sola, che piange e la riconduce a Jean.

Vigo trasforma questa storia qualunque in una storia inquietante e disperata. Egli si rende subito conto che basta qualche “innocuo” scambio per trasfigurare la sceneggiatura e farle assumere un segno diverso. Ex:
IL MARINAIO: Diventa un bizzarro venditore ambulante. Viene meno così il mito del seduttore per antonomasia, e al suo posto... la figura di un uomo libero fino alle estreme conseguenze, che ricorda forse la figura di "Boudu salvato dalle acque"(1932) di Renoir.  


IL CANE: Privo di precise connotazioni, diventa … gatti (plurale) ed essi apportano un senso di mistero, sgretolano la storia, invadono la chiatta, riempiono la cabina di Jules, il marinaio, unendosi alle cianfrusaglie che abbondano un po’ ovunque nel minuscolo spazio.
Così la trama si trasforma ed abbiamo:


Jean (Jean Dasté...che già abbiamo incontrato in "Zero in condotta" nelle vesti del giovane maestro) e Juliette (Ditta Parlo) si sposano nella chiesetta di un paese. Un corteo li accompagna fino alla chiatta dove il mozzo ritardato (Louis Lefebre) e Père Jules (Michel Simon) hanno addobbato il barcone. Il viaggio sulle acque della Senna fanno scoprire a Juliette l’amore e la noia (in questo senso, per alcuni, la chiatta: metafora del rapporto di coppia…)
Prima pare attratta dai racconti esotici di Père Jules, e dai feticci dei suoi viaggi, tutti rinchiusi nella sua cabina insieme ai gatti, poi il marito Jean li scopre, coglie l’intimità fra i due e si arrabbia. Il vero nemico però è un venditore ambulante che invita la ragazza a ballare, e poi ad andare con lui a Parigi. E’ libero fino alle estreme conseguenze, Jean si ingelosisce, e per questo tiene il muso alla moglie che, di notte, scappa e si ritrova spaesata, nel mezzo delle convenzioni e gli eccessi della città (Parigi). L’orgoglio impedisce a Jean di andarla a cercare, ma sta impazzendo. Una leggenda (Raccontatagli da lei) dice che “nelle acque limpide si può vedere il volto di chi si ama”, così lui mette la testa in un secchio, ma non basta, quindi si tuffa nella Senna, e la vede, col suo abito da sposa, e pare che danzi… alla fine, di passaggio ancora a Parigi, père Jules va a cercarla, la trova in un negozio di dischi e la riporta al marito, così ripartono sulla via dell’acqua, verso la felicità…forse!


IL REALISMO di Vigo intreccia, coniuga, la simbologia del viaggio e l' atmosfera ludica. La sua anarchia è forse meno rigida che altrove, ma è molto presente. Rimanda infatti ai poeti dell “amour fou” come Rimbaud, Mallarmé, Lautréamont…  per loro la vita consiste nel divenire della vita che si fa sogno, realizzazione del desiderio.

Rassegnazione, indifferenza, portano all’ impotenza e i “semplici”, a forza di essere semplici divengono stupidi. La cosa più inebriante nel cattivo gusto, è il piacere aristocratico di dispiacere (per Baudelaire!)
Questo vagare sulle acque del fiume, come metafora di un modo di tirarsi fuori dalla mediocrità generalizzata e scardinare la follia collettiva elevata a sistema.
Come? Con la disobbedienza… con il distacco dalle idee costituite di famiglia, religione e patria.

Qualcuno paragona sto film a Boudu salvato dalle acque, di Renoir, anche quello con Michel Simon e Jean Dasté, ma se somigliano non è per la comunanza delle “acque”, quanto per gli intenti di liberare l’individuo.

1933 Boudu salvato dalle acque/B. sauvé des eaux  (il soggetto: da una pièce teatrale di René Franchois)
-Fra le sue opere più geniali/misconosciute, osteggiate, occultate.
-La sua riscoperta si deve ad H. Langlois e alla Cinémathèque di Parigi.
Un filantropo libraio parigino, salva Boudu dalla Senna e se lo ritrova a casa, nonostante l’aperta ostilità della moglie di lui. Vagabondo, anarchico, maldestro, invadente, insofferente verso le regole, egli sconvolge in poco tempo la tranquillità borghese dei due. Ci prova con la cameriera, si porta a letto la padrona di casa, e mostra sincero stupore quando il  libraio si lamenta e minaccia di cacciarlo, anche se infondo ne è affascinato tanto da combinargli il matrimonio con la cameriera.
Il giorno del matrimonio, durante una gita in barca sulla Senna, B. clochard vestito a festa, finisce in acqua e piuttosto che affrettarsi a risalire, si lascia trascinare dalla corrente lontano dalle grida di richiamo della futura moglie. Una volta a riva, ritrova la sua libertà.
= Quando esce, sarà un clamoroso fiasco di pubblico. Torna alla ribalta dopo anni di vuoto, e si dimostra un capolavoro di R. Girato in piena libertà stilistica , con molte invenzioni, senso dello humour, ironia e favorito dalla recitazione di Michel Simon, che sa calarsi nei panni del clochard che attratti repelle ed a tratti affascina.

1934, ormai minato dalla tubercolosi, parte immediatamente per un periodo di riposo. Morirà pochi mesi dopo, senza riuscire a montare il film.

I responsabili della Gaumont, visionando il materiale, si rendono conto che il regista ha stravolto del tutto il soggetto originario. Decidono di montare il film, senza usare le parti più inquietanti ed aspre. Vi aggiungono un ♫ motivetto di moda: Le chaland qui passe, che diventa per un po’ il titolo del film. In Italia il film viene associato al motivetto “Parlami d’amore Mariù”, cantata da Vittorio de Sica,

Dopo tre settimane di programmazione, il film, denaturato, mal compreso e di scarso successo, viene ritirato ed abbandonato nei magazzini, dove rimane fino al ‘49 (a parte qualche sortita nei cineclub nel 1940) Intanto a Parigi, esplode il culo “Vigo”, aumenta così la domanda del film in versione originale (che di fatto… non è mai esistita!)
1940, la Gaumont presenta una versione rimontata e col titolo originario “L’Atlante”, e qui si restituisce quasi per intero l’atmosfera voluta da Vigo. (Se ho ben capito, il lavoro lo fa Langlois, ma non sono sicura sia questo)

Pierre Philippe e Jean Louis Bonpoint, due filologi, analizzano il film in dettaglio, e si rendono conto che molte scene della precedente versione sono state soppresse, e loro si preoccuperanno di ripresentare al festival di Cannes del 1990 la copia definitiva (come detto, la versione “originale” non l’avremo mai. Ciononostante, il film è un capolavoro per suggestione.) così scrisse Le Monde per l’occasione:
“Il film maledetto del cineasta maledetto è rinato in tutta la sua bellezza, nell’ originalità della scrittura… ora possiamo finalmente ammirare il suo realismo sociale e poetico, la sua esaltazione, l’amour fou, il suo onirismo, il suo spirito anarchico, il suo ritmo narrativo che si accorda felicemente con la musica di Jaubert.”


Prédal: L’Atlante = SOSTITUISCE agli stereotipi del realismo poetico.
La verità esistenziale del pilota di una chiatta fluviale e di sua moglie e la bizzarria del vecchio marinaio (Michel Simon coi gatti) con cui i due dividono l’imbarcazione. Il film inizia con un corteo nuziale che avanza fra i prati di periferia. Alla fine, l’happy ending, ma senza escludere povertà  e grigiore.

La semplicità del quotidiano subentra agli stati d’animo, e il tema del vagabondaggio è imprigionato tra le sponde di canali che non sfociano nel richiamo del mare aperto. 

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