Roberto Rossellini. 1947/48 BN, 78 minuti (It-Germ-Fr)
#AppuntiDiCinema
“Germania anno zero è un film
freddo come una lastra di vetro. Documentazione cronachistica di una certa realtà,
quella arida disperata del dopoguerra tedesco, con la sua fame, le sue
perversioni, i suoi delitti. Certo, non è uno spettacolo, a vederlo non ci si
diverte, ma non si poteva fare diversamente”
Roberto
Rossellini
Edmund Meschke e
Roberto
Rossellini
Scheda tecnica:
Regia: Roberto Rossellini;
Produzione: Roberto Rossellini,
Salvo D’Angelo, Alfredo Guarini per Telefilm/sadfi/UGC;
Sceneggiatura: Roberto Rossellini,
Carlo Lizzani; Max Colpet, Sergio Amidei
Fotografia: Robert Juillard Montaggio:
Eraldo da Roma Scenografia: Piero Filippone
Musica: Renzo Rossellini.
Premio: Al Festival di
Locarno nel ’48 come miglior film, e come miglior soggetto originale.
Molte le lodi, poche le critiche, ma spesso era la politica a determinare un
giudizio, non la qualità dell’opera.
“Il mondo
del cinema si era riorganizzato, aveva ritrovato le sue abitudini e il suo
stile d’anteguerra, e Germania anno zero veniva giudicato in base a tale
estetica d’anteguerra. D’altra parte anche il mondo politico si era
riorganizzato e giudicava il film in funzione della politica. Le critiche a Germania anno zero mi
rivelarono ciò che i giornalisti
pensavano rispettivamente sul problema tedesco, ma non furono di alcuna utilità
sul piano critico. Allora fui davanti a questo dilemma: O la prostituzione o la
sincerità”.
Roberto
Rossellini.
“Germania
anno zero, ha innanzitutto un grande merito: Quello di far conoscere al mondo ,
attraverso il grido straziato e sincero di un autentico poeta , il duro destino
e la realtà di un paese, il calvario materiale e spirituale dei suoi abitanti .
Cogliendo con estremo rigore il dramma di un popolo in profonda crisi umana e
sociale, Rossellini suggerisce indirettamente a tutti gli uomini un messaggio
di pace e fratellanza”
Massimo
Mida
nella rivista “Bianco e nero” (n°1, marzo 1948)
"Quando le ideologie si discostano
dalle leggi eterne della morale e della
pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la
prudenza dell'infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto
ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell'innocenza,
crede di trovare una liberazione dalla colpa."
Incipit.
Trama:
Berlino, 1947: La famiglia del piccolo Edmund (13 anni) è composta da un padre
malato di cuore e allettato, un fratello nascosto a causa dei suoi
trascorsi nazisti, e una sorella che
talvolta si dà ad ambigue frequentazioni notturne, per racimolare qualcosa, ma
è a Edmund, il più piccolo, che
spetta il compito gravoso di mantenere
la sua famiglia.
Lo vediamo lavorare in un cimitero, dove si scavano fosse, ma
viene licenziato perché denunciato dagli adulti come “Troppo giovane”, dunque
inadatto (toglie lavoro a loro). Ruba dei pezzi di carbone, viene scacciato in prossimità di un cavallo morto per strada, che attira molta gente affamata. Vive
insieme ad altre famiglie, per disposizione statale, e il padrone di casa, tollera male la presenza di questi estranei. Non
perde occasione per rubare sulla
luce, e su quel che può. Edmund si impegna a vendergli la bilancia pesa-persona della figlia –stupida- e viene imbrogliato da
un uomo losco. Incontra per caso un insegnante
pedofilo e nazista che lo aveva avuto in classe. Questi lo porta a casa
sua, lo accarezza morbosamente e lo manda a vendere dischi contenenti discorsi di Hitler a militari americani. Intanto
conosce due ladruncoli di strada, e prova a seguire il loro esempio. A casa i
litigi aumentano perché il padre rimprovera il fratello vile, e ingiustamente,
dà uno schiaffo al ragazzo perché rientra molto
tardi. Palese è l’ingiustizia di quel
gesto, e si finisce col simpatizzare col ragazzino. Intanto il padre
peggiora e deve andare in ospedale, dove mangia bene (Ricorda una scena di Umberto D di De Sica) ma al ritorno a
casa, i problemi sono sempre gli stessi. Edmund chiede consiglio al suo professore, che, sbrigativo, perché
alle prese con un altro ragazzino, tira
fuori le sue tesi naziste, ovvero: Eliminare il peso morto della famiglia. Il
debole. (fra Nietche –superuomo-
e Darwin -la legge del più forte).
Edmund prende alla lettera il consiglio e, tornato a casa, avvelena il padre con una tazza di thé. Torna dal maestro che, “inorridito” dal
fatto (che lui stesso gli aveva consigliato) prende le distanze. Reazione
isterica del ragazzo che piange, fugge e si sente tradito dal mondo degli adulti (a ciò si aggiunge la prima lezione
dell’educazione: L’irreversibilità
dell’esperienza). Segue un momento di “dispersione” in cui vaga lungo le
strade, e salterella (come dovrebbero fare i bambini, e come faceva Romano, il
figlio del regista, morto di appendice in Spagna poco prima) nello scenario di
epica devastazione che si respira ovunque a Berlino. Entra i in una casa devastata, osserva da lontano (e
dall’alto…che a mio avviso suggerisce una visione “oggettiva”, una presa di
coscienza, proprio perché dall’alto) e
si getta nel vuoto per i sensi di colpa, sotto lo sguardo della sorella.
Germania anno zero, è il terzo film della “Trilogia
della guerra” di Rossellini.
1_Il primo è “Roma città aperta” 1945, ambientato a Roma, a un passo dalla
liberazione (le truppe alleate sono già sbarcate, dunque è questione di tempo).
2_Il secondo “Paisà" 1946. Film a episodi.
3_Germania anno zero 1947/48, è ambientato a Berlino, la città “nemica” perché è qui che nasce il nazismo (in una scena del film, è mostrato il
luogo in cui la salma di Hitler è
stata presumibilmente bruciata, e dei soldati americani si fanno una foto lì
vicino. Altrove, dei soldati acquistano un
disco contenente i discorsi del Fürer).
Mi sembra
importante vedere entrambi i film, quello romano e quello tedesco, in sequenza, per coglierne appieno lo
spirito e le affinità tematiche.
Tutti, in
questa pagina di storia degli orrori, hanno perso buona parte del perdibile. Rossellini, pur essendo sopravvissuto alla guerra, ha
perso il figlio
Romano per un’appendicite.
Ecco come il figlio Renzo Rossellini, ricorda
questo evento:
Da "Chat room" |
Perché
sceglie questo bambino per la parte di Edmund… (per altro, gli lascia il suo vero
nome)
O.C.
“Questo film è
dedicato alla memoria di mio figlio Romano” è
scritto su un cartello di testa del film. Tua madre, Marcella de Marchis, tempo
fa mi rivelò che il protagonista del film, Edmund
Meschke, per Rossellini fu quasi l’alter ego* del figlio deceduto. Ma fino
a che punto la morte di tuo fratello Romano influì sul cinema di tuo padre?
*Secondo la moglie, Roberto ha rivisto in Edmund molto del figlio, soprattutto
la fronte spaziosa. La scena della passeggiata
= Papà si è portato appresso
tutta la vita la morte del suo primo figlio. Dolore/domande. E’ logico pensare
che quella morte abbia influenzato non solo Germania… ma tutti i suoi film
successivi al 1946.
Dal libro: “chat room Roberto Rossellini” (Vedi in fondo alla pagina per riferimenti IBS)
La sua storia “individuale” finirà col mutare
la sua visione d’insieme nei confronti della storia “collettiva”, suggerendo il bisogno di tornare ad una dimensione
umana, a prescindere dalla terra di appartenenza.
“Il dramma comune di tutti i vinti della storia. Oltretutto… il primo film in assoluto in cui si osservi
il conflitto dalla parte degli sconfitti, non per schierarsi con essi, ma
promuovendone la pietà come antidoto all’odio.” –dal libro: “Chatroom Roberto Rossellini”
I tedeschi nel film, sono messi peggio dei
Romani (che da loro vengono occupati), ma sono i bambini le vittime più esposte della guerra (non solo questa)
Gli
adulti
non esitano ad usare il bambino, o a liberarsene per interesse personale. (come
non notare la struttura, se vogliamo … circolare del film, che inizia attorno
ad una fossa vuota che in parte Edmund contribuisce a scavare, e finisce con
Edmund morto?)
In generale, ci giunge la sensazione che il
bambino, pur essendo in balia degli adulti, non abbia nessun diritto alla
parola, all’azione, alla storia, se non diventandone vittima o comunque, assorbendone
le conseguenze.
Rossellini redige due progetti di sceneggiatura per il
film.
-Il primo lo scrive mentre si trova a Parigi (sede della produzione: Union Générale
Cinématographique).
Propende in principio, per un racconto
“corale”, in stile “Paisà”, e lo desume da racconti sulla Germania da chi,
come Marlene Dietrich, era reduce da
una lunga turnée al seguito delle truppe di occupazione americana. L’attrice in quel periodo ha una
storia con Jean Gabin, (Rossellini con la Magnani) quindi non
cade ai suoi piedi, come molte sue colleghe, comunque lo stima e lo considera suo amico.
-In un secondo momento, il regista va di persona a Berlino coi suoi
collaboratori, e ne ha una percezione diversa rispetto ai racconti degli altri,
tanto che la sua prospettiva filmica si
rovescia, fino ad optare per un film avente a soggetto un solo personaggio
principale, e così nasce un secondo
copione, quello definitivo (il primo è andato perduto).
-Lo stato
d’animo:
-La percezione dei suoi collaboratori:
Carlo Lizzani, aiuto regista, racconta in un’ intervista... Di essere rimasto a Berlino un mese e mezzo, mentre Rossellini era a Parigi, ed ebbe
modo di osservare con attenzione la vita della città. A lui si devono le scene
del furto del carbone e del cavallo
morto (I 400 colpi… c’è un
cavallo/statua) inoltre il regista gli fa girare la scena del suicidio! –da
chatroom…
Quel che resta di Berlino, serve alla regia, per mostrare la cornice di un quadro
apocalittico che basta da solo a raccontare la pesante sconfitta di
un’ideologia, di una nazione, di una follia collettiva, ma serve anche, e
soprattutto a raccontare la proiezione
sullo schermo delle ferite profonde che la guerra ha lasciato sull’anima di un
bambino, -encicl. Cinema Treccani-
Il bambino di Rossellini è vittima del nazismo pur essendo tedesco. E' morto come i bambini
ebrei, anche se in un caso la morte è stata subita, nell'alto caso è stata cercata, ma per cause di forza maggiore. Entrambe però sono vittime della "storia", ovvero di un sacrificio
del tutto evitabile.
Quindi un
paesaggio urbano che, come in epoca romantica, evoca lo stato d’animo del suo personaggio. Tutto nel film, rimanda ad una dimensione onirica ed ogni traccia di naturalismo che si era vista
in altre opere che precedono il neorealismo, è completamente riassorbita e
sublimata.
– Enciclopedia del cinema Treccani-
Anche la musica racconta precisi stati d’animo.
“La musica di mio zio –Renzo
Rossellini- non è un optional nei film di papà, ma è parte del racconto, ne
esalta lo spessore. Che piaccia o non piaccia. La musica dei grandi musicisti
del cinema ha un valore relativo ascoltata disgiuntamente dalle immagini per le
quali è stata composta. Papà era attentissimo
a tutti gli effetti sonori, non solo della musica. Spesso voleva vedere in
moviola le immagini accompagnate solo dal dialogo, rumori ed effetti, per
capire se il montaggio aveva il giusto ritmo.
–da Chat room….
Molto di questo materiale, è desunto dal libro: “Chat room Roberto Rossellini”
Conversazione fra Renzo Rossellini (figlio) e Osvaldo Contenti.
link a IBS [Luca Sossella edit.. 15 euro. ] |
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