mercoledì 19 febbraio 2014

"Germania anno zero" 1947/48

Roberto Rossellini. 1947/48 BN, 78 minuti (It-Germ-Fr) 
#AppuntiDiCinema



“Germania anno zero è un film freddo come una lastra di vetro. Documentazione cronachistica di una certa realtà, quella arida disperata del dopoguerra tedesco, con la sua fame, le sue perversioni, i suoi delitti. Certo, non è uno spettacolo, a vederlo non ci si diverte, ma non si poteva fare diversamente”
Roberto Rossellini


 
Edmund Meschke e
Roberto Rossellini
Scheda tecnica:
Regia: Roberto Rossellini;
Produzione: Roberto Rossellini, Salvo D’Angelo, Alfredo Guarini per Telefilm/sadfi/UGC;
Sceneggiatura: Roberto Rossellini, Carlo Lizzani; Max Colpet, Sergio Amidei 
Fotografia: Robert Juillard  Montaggio: Eraldo da Roma  Scenografia: Piero Filippone
Musica:  Renzo Rossellini.
Premio: Al Festival di Locarno nel ’48  come miglior film, e come miglior soggetto originale.

Molte le lodi, poche le critiche, ma spesso era la politica a determinare un giudizio, non la qualità dell’opera.
“Il mondo del cinema si era riorganizzato, aveva ritrovato le sue abitudini e il suo stile d’anteguerra, e Germania anno zero veniva giudicato in base a tale estetica d’anteguerra. D’altra parte anche il mondo politico si era riorganizzato e giudicava il film in funzione della politica. Le critiche a Germania anno zero mi rivelarono ciò che i giornalisti pensavano rispettivamente sul problema tedesco, ma non furono di alcuna utilità sul piano critico. Allora fui davanti a questo dilemma: O la prostituzione o la sincerità”.
Roberto Rossellini.

“Germania anno zero, ha innanzitutto un grande merito: Quello di far conoscere al mondo , attraverso il grido straziato e sincero di un autentico poeta , il duro destino e la realtà di un paese, il calvario materiale e spirituale dei suoi abitanti . Cogliendo con estremo rigore il dramma di un popolo in profonda crisi umana e sociale, Rossellini suggerisce indirettamente a tutti gli uomini un messaggio di pace e fratellanza”  
Massimo Mida nella rivista “Bianco e nero” (n°1, marzo 1948)

"Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell'infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell'innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa."
Incipit.  

Trama:
Berlino, 1947: La famiglia del piccolo Edmund (13 anni) è composta da  un padre malato  di cuore e allettato, un fratello nascosto a causa dei suoi trascorsi nazisti, e una sorella che talvolta si dà ad ambigue frequentazioni notturne, per racimolare qualcosa, ma è a Edmund, il più piccolo, che spetta il compito gravoso di mantenere la sua famiglia.
Lo vediamo lavorare in un cimitero, dove si scavano fosse, ma viene licenziato perché denunciato dagli adulti come “Troppo giovane”, dunque inadatto (toglie lavoro a loro). Ruba dei pezzi di carbone, viene scacciato in prossimità di un cavallo morto per strada, che attira molta gente affamata. Vive insieme ad altre famiglie, per disposizione statale, e il padrone di casa, tollera male la presenza di questi estranei. Non perde occasione per rubare sulla luce, e su quel che può. Edmund si impegna a vendergli la bilancia pesa-persona della figlia –stupida- e viene imbrogliato da un uomo losco. Incontra per caso un insegnante pedofilo e nazista che lo aveva avuto in classe. Questi lo porta a casa sua, lo accarezza morbosamente e lo manda a vendere dischi contenenti discorsi di Hitler a militari americani. Intanto conosce due ladruncoli di strada, e prova a seguire il loro esempio. A casa i litigi aumentano perché il padre rimprovera il fratello vile, e ingiustamente, dà uno schiaffo al ragazzo perché rientra molto tardi. Palese è l’ingiustizia di quel gesto, e si finisce col simpatizzare col ragazzino. Intanto il padre peggiora e deve andare in ospedale, dove mangia bene (Ricorda una scena di Umberto D di De Sica) ma al ritorno a casa, i problemi sono sempre gli stessi. Edmund chiede consiglio al suo professore, che, sbrigativo, perché alle prese con un altro ragazzino,  tira fuori le sue tesi naziste, ovvero: Eliminare il peso morto della famiglia. Il debole. (fra Nietche –superuomo- e Darwin -la legge del più forte). Edmund prende alla lettera il consiglio e, tornato a casa, avvelena il padre con una tazza di thé. Torna dal maestro che, “inorridito” dal fatto (che lui stesso gli aveva consigliato) prende le distanze. Reazione isterica del ragazzo che piange, fugge e si sente tradito dal mondo degli adulti (a ciò si aggiunge la prima lezione dell’educazione: L’irreversibilità dell’esperienza). Segue un momento di “dispersione” in cui vaga lungo le strade, e salterella (come dovrebbero fare i bambini, e come faceva Romano, il figlio del regista, morto di appendice in Spagna poco prima) nello scenario di epica devastazione che si respira ovunque a Berlino. Entra i in una casa devastata, osserva da lontano (e dall’alto…che a mio avviso suggerisce una visione “oggettiva”, una presa di coscienza, proprio perché dall’alto)  e si getta nel vuoto per i sensi di colpa, sotto lo sguardo della sorella.

Germania anno zero, è il terzo film della “Trilogia della guerra” di Rossellini.
1_Il primo è “Roma città aperta” 1945, ambientato a Roma, a un passo dalla liberazione (le truppe alleate sono già sbarcate, dunque è questione di tempo).
2_Il secondo “Paisà" 1946. Film a episodi.
3_Germania anno zero 1947/48, è ambientato a Berlino, la città “nemica” perché è qui che nasce il nazismo (in una scena del film, è mostrato il luogo in cui la salma di Hitler è stata presumibilmente bruciata, e dei soldati americani si fanno una foto lì vicino. Altrove, dei soldati acquistano un disco contenente i discorsi del Fürer).  

Mi sembra importante vedere entrambi i film, quello romano e quello tedesco, in sequenza, per coglierne appieno lo spirito e le affinità tematiche. 
Tutti, in questa pagina di storia degli orrori, hanno perso buona parte del perdibile. Rossellini,  pur essendo sopravvissuto alla guerra, ha perso il figlio Romano per un’appendicite.
Ecco come il figlio Renzo Rossellini, ricorda questo evento:
Da "Chat room" 

Perché sceglie questo bambino per la parte di Edmund… (per altro, gli lascia il suo vero nome)


O.C. Questo film è dedicato alla memoria di mio figlio Romanoè scritto su un cartello di testa del film. Tua madre, Marcella de Marchis, tempo fa mi rivelò che il protagonista del film, Edmund Meschke, per Rossellini fu quasi l’alter ego* del figlio deceduto. Ma fino a che punto la morte di tuo fratello Romano influì sul cinema di tuo padre?
*Secondo la moglie, Roberto ha rivisto in Edmund molto del figlio, soprattutto la fronte spaziosa. La scena della passeggiata 
= Papà si è portato appresso tutta la vita la morte del suo primo figlio. Dolore/domande. E’ logico pensare che quella morte abbia influenzato non solo Germania… ma tutti i suoi film successivi al 1946.
Dal libro: “chat room Roberto Rossellini”  (Vedi in fondo alla pagina per riferimenti IBS)       
  
La sua storia “individuale” finirà col mutare la sua visione d’insieme nei confronti della storia “collettiva”, suggerendo il bisogno di tornare ad una dimensione umana, a prescindere dalla terra di appartenenza.
“Il dramma comune di tutti i vinti della storia. Oltretutto… il primo film in assoluto in cui si osservi il conflitto dalla parte degli sconfitti, non per schierarsi con essi, ma promuovendone la pietà come antidoto all’odio.” –dal libro: “Chatroom Roberto Rossellini”



I tedeschi nel film, sono messi peggio dei Romani (che da loro vengono occupati), ma sono i bambini le vittime più esposte della guerra (non solo questa)
Gli adulti non esitano ad usare il bambino, o a liberarsene per interesse personale. (come non notare  la struttura, se vogliamo … circolare del film, che inizia attorno ad una fossa vuota che in parte Edmund contribuisce a scavare, e finisce con Edmund morto?)
In generale, ci giunge la sensazione che il bambino, pur essendo in balia degli adulti, non abbia nessun diritto alla parola, all’azione, alla storia, se non diventandone vittima o comunque, assorbendone le conseguenze.  

Rossellini redige due progetti di sceneggiatura per il film.
-Il primo  lo scrive mentre si trova a Parigi (sede della produzione: Union Générale Cinématographique). Propende in principio, per un racconto “corale”, in stile “Paisà”, e lo desume da racconti sulla Germania da chi, come Marlene Dietrich, era reduce da una lunga turnée al seguito delle truppe di occupazione americana. L’attrice in quel periodo ha una storia con Jean Gabin, (Rossellini con la Magnani) quindi non cade ai suoi piedi, come molte sue colleghe, comunque lo stima e lo considera suo amico.

-In un secondo momento, il regista va di persona a Berlino coi suoi collaboratori, e ne ha una percezione diversa rispetto ai racconti degli altri,  tanto che la sua prospettiva filmica si rovescia, fino ad optare per un film avente a soggetto un solo personaggio principale, e così nasce un secondo copione, quello definitivo (il primo è andato perduto).
-Lo stato d’animo:



-La percezione dei suoi collaboratori:
Carlo Lizzani, aiuto regista, racconta in un’ intervista... Di essere rimasto a Berlino un mese e mezzo, mentre Rossellini era a Parigi, ed ebbe modo di osservare con attenzione la vita della città. A lui si devono le scene del furto del carbone e del cavallo morto (I 400 colpi… c’è un cavallo/statua) inoltre il regista gli fa girare la scena del suicidio! –da chatroom…

Quel che resta di Berlino, serve alla regia, per mostrare la cornice di un quadro apocalittico che basta da solo a raccontare la pesante sconfitta di un’ideologia, di una nazione, di una follia collettiva, ma serve anche, e soprattutto a raccontare la proiezione sullo schermo delle ferite profonde che la guerra ha lasciato sull’anima di un bambino, -encicl. Cinema Treccani-

Il bambino di Rossellini è vittima del nazismo pur essendo tedesco. E' morto come i bambini ebrei, anche se in un caso la morte è stata subita, nell'alto caso è stata cercata, ma per cause di forza maggiore. Entrambe però sono vittime  della "storia", ovvero di un sacrificio del tutto evitabile.

Quindi un paesaggio urbano che, come in epoca romantica, evoca lo stato d’animo del suo personaggio.  Tutto nel film, rimanda ad una dimensione onirica ed ogni traccia di naturalismo che si era vista in altre opere che precedono il neorealismo, è completamente riassorbita e sublimata.
– Enciclopedia del cinema Treccani-

Anche la musica racconta precisi stati d’animo.
“La musica di mio zio –Renzo Rossellini- non è un optional nei film di papà, ma è parte del racconto, ne esalta lo spessore. Che piaccia o non piaccia. La musica dei grandi musicisti del cinema ha un valore relativo ascoltata disgiuntamente dalle immagini per le quali è stata composta. Papà era attentissimo a tutti gli effetti sonori, non solo della musica. Spesso voleva vedere in moviola le immagini accompagnate solo dal dialogo, rumori ed effetti, per capire se il montaggio aveva il giusto ritmo. 
–da Chat room….

Molto di questo materiale, è desunto dal libro: “Chat room Roberto Rossellini”
Conversazione fra Renzo Rossellini (figlio) e Osvaldo Contenti.  

link a IBS 
[Luca Sossella edit.. 15 euro. ]







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