lunedì 20 febbraio 2012

Clin d'oeil alle origini del cinema: "The Artist" & "Hugo Cabret"


Questo blog nasce come "Monoteista", quindi dedicato  solo a  François Truffaut, ma ripensandoci, ho deciso di aprire una parentesi ogni tanto, soprattutto se m' imbatto in opere tematicamente o stilisticamente attinenti a quelle che racconto in questa sede. Per tali ragioni, oggi parlerò dei due film citati nel titolo.

Ps: "Clin d'oeil": Fare l'occhiolino, strizzare l'occhio. Usato perché più sintetico ed efficace delle relative traduzioni.
Hugo Cabret” di Martin Scorzese, arriva sul grande schermo a pochi mesi dal notevole successo riscosso da: “The artist” di Michel Hazanavicius. Che hanno in comune? Innanzitutto, l'anno di nascita: il 2011 (in Italia, "Hugo Cabret" è stato distribuito nelle sale cinematografiche solo qualche settimana fa). Che altro? Molteplici riconoscimenti e candidature in corso:
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"The Artist" presentato al festival di Cannes nel 2011, che premia Jean Dujardin come miglior interprete maschile ( Bérénice Bejo non mi è sembrata da meno). Il film vince anche 3 Golden globes a gennaio, e 7 premi BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) Infine, vanta 10 nominations agli Oscar statunitensi, il cui esito ci sarà noto a breve.


"Hugo Cabret" riceve un prestigioso riconoscimento ai Golden Globes, visto che Martin Scorzese è premiato come: “Miglior regista”. Il film è inoltre candidato ad 11 nominations per i prossimi Oscar.

In verità, non ho molto interesse a inventariare i riconoscimenti ufficiali concessi ai due film, e senza dubbio, qualcosa mi è sfuggito. Quel che volevo sottolineare è che entrambi i lavori hanno riscosso ampio successo di pubblico e di critica.
Il tema dei due film è il motivo per cui li ho riuniti in un unico post: Il cinema e la sua storia, anche se la cosa è affrontata in maniera praticamente opposta dai due registi:

The artist "osa"  resuscitare il il muto e il bianco e nero (Come fece Truffaut nei suoi primi film) nell’era di ...“Avatar”! Un gesto coraggioso, visto che rischiava concretamente un tonfo nell’acqua! Alla parola “Muto” lo spettatore moderno ha paura di annoiarsi. A me per esempio è successo, ma ho lasciato che l'istinto vincesse sui pregiudizi.
 
Il film è ambientato nel periodo che va dal 1927 al 1931 – Dunque in quella linea di confine cronologica fra   il cinema  muto e il sonoro, che s'impone "ufficialmente" nel 1930 costringendo attori e registi a rimettersi in discussione, o in alternativa, a lasciare il mondo del cinema.  
Nel film ci sono infatti due personaggi che somigliano a parabole destinate a seguire inclinazioni inverse:
George Valentin (Jean Dujardin) è una star Hollywoodiana nell'era del muto, ma l'avvento del sonoro lo priva di ogni risorsa. Il pubblico (Come per Méliès nell'altro film) non è più interessato ai suoi lavori, e la sua reazione è d' orgoglio. Non vuole mettersi alla prova in questa scelleratezza tecnologica nella quale non crede affatto. E’ contrario all’innovazione tecnologica, e la cosa lo riduce al lastrico, senza contare che rischierà di morire (come il genere cinematografico che per anni ha rappresentato la sua persona: il film muto). A salvarlo è la bellissima Peppy Miller (Bérénice Bejo) che a inizio film è  una fans invaghita del grande attore, ma alla fine diventerà una star del sonoro, proprio mentre il suo beniamino conosce il declino. Sarà l'amore ostinato della ragazza per il suo idolo a riportare quest'ultimo sul grande schermo, con un genere che somiglia a una via di mezzo fra muto e sonoro: il musical (Alla Ginger Rogers e Fred Astaire) . Happy ending dunque. (In entrambe i film, ma tenendo a mente la frase di Méliès nell'altro film: "Gli happy ending sono possibili solo nei film" )

"George & Peppy"

Ginger Rogers & Fred Astaire
Meravigliosi gli effetti che il regista riesce a creare solo con la gestualità degli attori accompagnati dalla musica evocatrice di stati d’animo, con qualche stratagemma tecnico e con un... cane molto “Artiste”. (Bellissimo il sogno “sonoro” di George. ).

Hugo Cabret nasce dall’ adattamento della graphic novel “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” 2007, di Brian Selznick,  illustratore di libri per ragazzi. Suppongo che la cosa sia stata in qualche modo d'aiuto per la regia. Scorzese afferma (nell'intervista che allego a fine post), di aver letto il libro già quattro anni fa, quindi ha avuto modo di riflettere sul tema e sul modo di affrontarlo. Osservando questi disegni si nota una somiglianza a volte impressionante con gli attori scelti dal regista. Ma il libro è in Bianco e Nero, mentre il film è a colori.


Qualche disegno della grafic novel a cui s'ispira il film.
Se The artist” fa un passo indietro rispetto al nostro periodo storico, "Hugo Cabret"  attualizza il passato remoto avvalendosi della più recente tecnologia cinematografica: Il 3D, per raccontarci la vita di George Méliès, pioniere della storia del cinema, interpretato da Ben Kingsley (Fra i film più conosciuti che lo riguardano: “Mahatma Ghandi” 1982. “Schindler’s list” 1993, che gli vale una nomination) .

George Méliès.
Parigi: 8/12/1861 - 21/1/1938
Un film fra realtà e fantasia, fra realismo in stile Charles Dickens e cartone animato alla Tim Burton! Essi! Volendo, un forzato Trait-d'union fra i due registi potrebbe essere... Jonny Deep, che è co-produttore del film, nonché artista prediletto da Burton.
Divagazioni a parte, l'ambientazione è impregnata di elementi dark e gotici alla Burton, senza però rinunciare alla magia del sogno e dell'universo infantile. Pensiamo al bellissimo "A Nightmare before Christmas" o agli inquietanti giardini "potati" da "Edward mani di forbici" e poi allo scenario che il piccolo Hugo attraversa prima di raggiungere la casa di George, e noteremo qualche analogia. 
Idem per lo spiazzante distacco visivo, fra i colori e il calore che vive (letteralmente) dentro la stazione di Montparnasse, che è dove Hugo abita (nascosto fra le ruote dentate dell'ingranaggio che muove il meccanismo delle ore...e del cinema?) e l'ambiente desolante che sta fuori, lungo le strade della città, che pure, dall'alto dell'orologio, appare incantevole e pieno di luci, ma quando il ragazzo s'inoltra nei reticoli delle vie parigine, si trova alle prese con neve, freddo, buio, paura, in una parola: Realismo laddove la stazione, coi suoi treni è al limite del simbolismo, forse una citazione vera e propria.


E' appena il caso di ricordare che uno dei primi film della storia del cinema si intitola: "L'arrivo di un treno alla stazione di Ciotat" dei F.lli Lumières. "Entrée d'un train en gare de la Ciotat" (Cliccando su questa scritta potrai vederlo)  La gente durante le proiezioni reagisce con un attacco di panico collettivo quando il treno si avvicina, perché l'impressione è che stia per entrare in sala, sfondando i muri- Noto che, in misura infinitamente più lieve, la sensazione somiglia molto a quella provata dallo spettatore che per la prima volta si avvicina al 3D.  "...Immagini che escono dallo schermo e sembra che ti vengano addosso". Chi non l'ha sentito dire almeno una volta?- (Per altro la scena sarà  parodiata da Paolo Villaggio in uno dei suoi tragici Fantozzi. In quel caso, il treno entrerà davvero in sala, investendo, ovviamente, il povero ragioniere!!)
La scena è in parte evocata durante un incubo di Hugo, che si sveglia terrorizzato perché sta per essere investito da un treno. La cosa succederà concretamente nella vita reale, per salvare il solo ricordo rimastogli del padre, ma sarà salvato dall'ispettore, che prima vuole mandarlo in un orfanotrofio, ma alla fine cede e lo lascia libero.
Ps: Un incidente alla stazione di Montparnasse, c'è stato davvero! Era il 22 ottobre del 1895  In questo link, l'incidente realmente accaduto alla stazione di Montparnasse: (Clicca qua) ...magari a fine lettura!
Foto di quel che accadde davvero! 

La differenza fra il setting naturale dei Lumière e quello di Scorzese, è la stazione.  Si è parlato per i Lumière di cinema documentario, che si limita alla riproposizione sullo schermo di momenti di vita quotidiana. I treni di Ciotat sono ripresi all'aperto (con una telecamera fissa) come faremmo oggi con un qualsiasi apparecchio telefonico o cinepresa. Allora la grande novità era... poterlo fare, ovviamente! Nel film di Scorzese, gran parte delle azioni si svolgono in uno spazio chiuso: La stazione, che somiglia, con un po' di fantasia e con tutti i suoi colori, alla casa di vetro che Méliès aveva inventato per girare le scene dei suoi quasi 500 film (molti dei quali andranno perduti).
Insomma, l'impressione è che che la stazione di Scorzese sia una metafora del cinema, che è "sogno", dunque per contrasto, gli esterni appaiono oscuri, e tetri perché "reali". Sempre in merito a Scorzese, trattandosi di un regista molto capace, si assiste con sollievo ad un uso ragionevole della terza dimensione, (3D). Niente abuso di virtuosismi. Per me è la prima volta. Confesso! Non subisco il fascino dell' occhialino, finora applicato a film come "Avatar" che non mi attirano affatto.
Mi è dispiaciuto perdermi "Alice nel paese delle meraviglie" con Jonny Deep, perché dopo averlo visto in 2D ho pensato che in 3D mi sarebbe stra piaciuto. Idem per "Pina" dedicato alla ballerina Pina Bausch, ma dalle mie parti lo davano solo in 2D, e alla fine non l'ho visto affatto.

Per essere proprio sincera,  in alcuni momenti, ovvero quando  sullo schermo apparivano primissimi piani di singoli personaggi, ho avuto l'impressione di essere nel mezzo di un museo di cere animate, e la sensazione non mi è troppo piaciuta. Non amo i musei delle cere perché in quelle sagome che pretendono di ridare sembianze di  vita a chi non c'è più, vedo solo l'evidenza della morte, quindi mi ha fatto un po' impressione provare la stessa cosa guardando un film, girato con attori decisamente... viventi, ma come ho già detto, si è trattato di pochi momenti.
Cabret -disegno-
Quanto ai personaggi, colpisce l'onnipresenza di orfani.
Hugo (Asa Butterfield, quindicenne talentuoso inglese, e l'ha già dimostrato nel film “Il bambino con il pigiama a righe” nel 2008.) già orfano di madre, perde anche il padre (Jude Law) durante un incendio.
Isabelle, (Chloë Grace Moretz, quindicenne americana di cui sentiermo certamente parlare in futuro. Ha partecipato a diversi film horror) vive coi Méliès, ma ha perduto entrambi i genitori.


L'ispettore ferroviario Gustav (Sacha Noam Baron Cohen, noto per i vari "Borat", Bruno" etc si mostra qui nelle vesti di un personaggio diverso da quelli che interpreta di solito, forse più complesso pur nella sua schematicità) , anche lui è stato orfano,  poi militare, e la somma delle cose l'ha reso rigido nel corpo e nella mente (come metaforicamente indica la sua gamba incastrata ad un attrezzo che ricorda molto "Forrest Gump", solo che ogni tanto "il meccanismo" s'inceppa, impedendogli di camminare, mettendolo in ridicolo o in imbarazzo. Sarà Hugo ad "aggiustarlo",  e soprattutto a cambiarlo sarà l'amore per la bella fioraia, che riuscirà a togliergli un po' di divisa, per farne finalmente un uomo.

Hugo col padre, di fronte all'oggetto misterioso ed affascinante.

L'automa finalmente produce segni grafici. Non scrive, ma
Disegna un'immagine di Méliès, firmata dal regista stesso.
Persino l'automa, "una specie di Carillon", dice Jude Law, che ha la particolarità di saper scrivere, persino lui è orfano ed incredibilmente triste per essere un personaggio inumano e inanimato. (Per funzionare ha bisogno di due cose: Che i suoi ingranaggi vengano riparati, e che una chiave a forma di cuore gli sia inserita nella schiena)
Doinel dalla psicologa racconta la sua infanzia.
"I 400 colpi"
Sappiamo bene quanto la tematica del padre ( e della madre) assente sia vicina a Truffaut.  
Durante il colloquio con la psicologa (Foto in alto) dirà "Mia nonna mi ha salvato la vita" (la madre voleva abortire, e la cosa è autobiografica. Madre fredda che si cala nella parte di madre solo dopo essere stata scoperta con l'amante dal figlio, che ha marinato la scuola e la incrocia per strada. Ma la tregua durerà poco. La madre assente è simbolizzata dalla scena finale del film "I 400 colpi". Il ragazzo fugge dalla prigione verso "la mer", cioè il mare, ma foneticamente anche "La madre", e trova un' invalicabile linea di confine. Così gli da le spalle e guarda verso la M.d.p. con un'espressione smarrita che colpisce emotivamente lo spettatore, definitivamente dalla sua parte. 
Scena finale del film.
Quanto al padre mancante, un giorno a scuola un professore d'inglese interroga René. Where is the father?" continua a chiedere. A Lui non interessa la domanda in sé, ma la pronuncia esatta della parola "Father" che i ragazzi non sanno pronunciare.  Non è proprio un caso, il padre è per loro l'equivalente di una lingua straniera, cioè un nome difficile da pronunciare.
Truffaut uomo invece, scoprirà di non essere figlio ri Roland Truffaut per caso, anche se l'aveva intuito prima, a livello inconscio. Durante le riprese di un film del ciclo doinel, scopre la vera identità di suo padre, ma turbato dalla cosa, decide di non conoscerlo. A salvargli la vita, oltre alla nonna, è stato André Bazin, che lo tira fuori dal carcere in cui era finito per volere del patrigno, e sarà Bazin ad introdurlo nel mondo del cinema, occupandosi del ragazzo come fosse un padre. Quindi è il cinema che simbolicamente l'ha adottato. Gli orfani del film di Scorzese, così come i "senza padre" di Truffaut, trovano il loro genitore nel cinema. Truffaut nella figura di Bazin, e i personaggi di H. Cabret in Méliès, anziano, demotivato e disilluso...
Méliès chiede a Hugo se sa riparare il topolino rotto
e lui lo ripara. (Qui sotto il disegno della graphic novel)
...Il problema del  regista è che "ha smesso di funzionare", proprio come la sua creatura, l'automa custodito da Hugo.  La guerra del 1914 ha distrutto la carriera del regista. La gente non è più  interessata ai suoi film, e questo significa rovina economica oltre che perdita del sogno che è stato tutto il bello della sua vita. In un momento di rabbia in passato, aveva bruciato tutto, e aveva venduto le sue pellicole che, una volta lavorate, sono diventate tacchi per le scarpe (scena suggestiva). Coi magri proventi del tutto, George acquista un negozio di giocattoli alla stazione di Montparnasse, dove il caso lo metterà in contatto con Hugo, il bambino che lo "rimetterà a posto"...

...come fa col topolino  che aveva rubato dal negozio, e come farà con l'automa, convinto che contenga
un messaggio da parte di suo padre. Quando l'automa tornerà a vivere, non scriverà nulla, ma disegnerà una delle immagini più note di Méliès: La luna con un occhio trafitto da un missile giunto dalla terra...

....Firma del regista inclusa, quasi a testimoniare la paternità ritrovata da parte di quel giocattolo malinconico "Le voyage dans la lune" 1902. Link dell'intero corto (Clicca sulla scritta)

In sostanza, di che parla questo film?
Di due adolescenti ansiosi di avventure da vivere e misteri da svelare, ma non per questo rinunciano a porsi quesiti sulla vita, e sul suo senso.
Di un vecchio che ha perso il sogno, e di un bambino che vuole aiutarlo contro la volontà dell'uomo a ritrovare la gioia del presente accettando la memoria del passato.
E poi c'è l'uomo in divisa molto severo per via di un'infanzia priva d'affetto (In questo Truffaut è  molto meno patetico. "Non si ride quando si è soli" dirà in merito a Léaud) 
Nel film H.C. ci sono anche tanti personaggi secondari, che creano un insieme molto ben strutturato.

Il meccanismo delle ore, il tempo che passa, mi ha fatto pensare a due cose:
la cui presenza andrebbe a confermare l'idea di un cinema concepito come "Intrattenimento", divertimento, ma anche stimolo di pensiero. In questo film comico infatti, Chaplin mette sotto accusa l'eccessiva monotonia della vita degli operai in fabbrica, e nell'atto di scivolare fra gli ingranaggi, ricorda la grande "Macchina del cinema", composta a sua volta da una serie di ingranaggi che precedono la realizzazione del film!
NB: Volendo ...In "Luci della città", Chaplin s' innamora di una fioraia cieca, che grazie a lui torna a vedere... anche l'ispettore ferroviario si innamora di una fioraia! 







La seconda:
I Lumière erano convinti che la loro invenzione avrebbe subito il destino che capita alle mode, e che quindi sarebbe morta di lì a poco. Sbagliarono.
Non trascurabile per la sopravvivenza del cinema è la figura di Méliès, che in principio imita i Lumière, ma presto abbandona il film realista e pretende di portare il sogno nel film, sperimentando tutto lo sperimentabile, come nessuno mai prima di lui aveva fatto.
Il cinema diventa "settima arte" , è dunque in qualche modo legittimato, solo nel 1910, cioè dopo 15 anni dalla sua nascita. Rispetto alle altre arti: Letteratura, teatro, musica, pittura, e la più recente fotografia, ha il pregio di essere la più giovane e di essere la sola capace di realizzare quello che era stato il sogno wagneriano per eccellenza: un opera di "Arte totale", visto che essa sa inglobare in se' tutte le altre arti. La cosa ha costretto tutti i generi a rimettersi in discussione, ma anche il cinema per poter sopravvivere, ha dovuto subire velocissime trasformazioni, soprattutto nei primi decenni della sua vita.
La pellicola infiammabile, per esempio (Citata in "The artist" ma anche in "Nuovo cinema paradiso", sarà perfezionata e resa più sicura per la vita degli operatori e del pubblico. La pellicola di 35 mm diventa formato standard, per facilitare la fruizione dei film, e mille altri accorgimenti simili.)
Méliès ha pagato il prezzo di questa rapidità della storia, e mi sembra che lo scandire del tempo, che compare nel film come un leit-motive, serva a ricordarci che il cinema è sopravvissuto alle previsioni catastrofiche di coloro che l'avevano inventato, e che pur essendo destinato ad eterna trasformazione, non morirà.



Infine (mi viene in mente ora) ... altro punto in comune fra Doinel e diversi presonaggi/bambini di Truffaut, è la ricerca di avventure fra i libri o al cinema, in cui a volte s'intrufolano furtivamente (esempio: "Gli anni in tasca") . In Hugo Cabret, Isabelle non poteva andare al cinema perché Méliès le aveva proibito di farlo, cosa che ha attratto ancora di più la bambina verso l'avventura.
A fine film scopriremo che tutta la storia del film ci proviene da un suo romanzo. Dunque, come dicevo prima, una commistione di generi: Un film che racconta un romanzo, che racconta la storia di un bambino e anche quella del cinema. 

Antoine e René al cinema piuttosto che a scuola.
- I 400 colpi - 



Hugo e Isabelle, furtivamente entrati al cinema.
Vedono sullo schermo un uomo in bilico su un palazzo
Hugo vivrà la stessa situazione per sfuggire all'ispettore.
 



Come da previsione....

And the Oscar goes to....



Miglior film: The Artist

Migliore regia: Michel Hazanavicius (The Artist)
Migliore attore protagonista: Jean Dujardin (The Artist)
Migliore attrice protagonista: Meryl Streep (The Iron Lady)
Migliore attore non protagonista: Christopher Plummer (Beginners)
Migliore attrice non protagonista: Octavia Spencer (The Help)
Miglior film d’animazione: Rango
Miglior film straniero: Una Separazione (Iran)
Migliore sceneggiatura originale: Woody Allen (Midnight in Paris)
Migliore sceneggiatura non originale: Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash (Paradiso Amaro)
Miglior corto d’animazione: The Fantastic Flying books of Mr. Morris Lessmore
Migliore fotografia: Robert Richardson (Hugo Cabret)
Migliore scenografia: Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (Hugo Cabret)
Migliore colonna sonora originale: Ludovic Bource (The Artist)
Miglior sonoro: Tom Fleischman e John Midgley (Hugo Cabret)
Miglior montaggio sonoro: Philip Stockton ed Eugene Gearty (Hugo Cabret)
Miglior trucco: Mark Coulier e J. Roy Helland (The Iron Lady)
Migliori costumi: Mark Bridges (The Artist)
Miglior corto documentario: Saving Face
Miglior cortometraggio: The Shore
Miglior documentario: Undefeated
Migliori effetti visivi: Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossman ed Alex Henning (Hugo Cabret)
Miglior montaggio: Kirk Baxter e Angus Wall (Uomini che odiano le donne)
Miglior canzone originale: Bret McKenzie (I Muppet)



CINQUE OSCAR PER UNO!

4 commenti:

  1. Hugo Cabret parla con Isabelle e dice:
    I'd imagine the whole world
    was one big machine.
    Machines never come
    with any extra parts, you know.
    They always come with
    the exact amount they need.
    So I figured if the entire world
    was one big machine...
    I couldn't be an extra part
    I had to be here for some reason.
    ... And that means you have
    to be here for some reason, too.

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  2. Ho immaginato che il mondo intero fosse una grande macchina, e le macchine non hanno mai pezzi di troppo, perché nascono con numero esatto di pezzi di cui hanno bisogno.Per questo ho immaginato il mondo come una macchina immensa. Io non posso essere di troppo, quindi devo essere qui per qualche ragione, e questo significa che anche tu devi essere qui per qualche ragione precisa.

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  3. questo bel post mi era sfuggito... the artist non l'ho ancora visto ma conto di riparare presto :)
    o.

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  4. Ti sfinisco la vita coi miei blog! :-)Si, il film dovresti vederlo. E' molto bello!

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