venerdì 11 febbraio 2011

L'uomo che amava le donne -parte 2- "La luna di giorno".

Dopo lunga assenza (di cui mi scuso) torno a: “L’homme qui aimait les femmes” (di cui, nel post precedente ho esposto la trama) a partire da un video collage che Gianni Aliberti ha realizzato con Massimiliano Tappari e che mi ha concesso di utilizzare per l’occasione.
(Gentilmente ringrazio!) 


Il titolo del video è “La luna di giorno”.
Si tratta di una citazione desunta da: “Gli anni in tasca” (1976) in merito alle donne, anche se il film si focalizza sui bambini, soggetto già trattato in:“Les mistons” (1957), “Les quatre-cents coups” (1959) “L’enfant sauvage”(1969).
Il regista sente molto, e da sempre, il tema dell’infanzia, ma se negli anni dei primi successi che ne consacrano la fama a livello mondiale, Truffaut è ancora molto giovane. Nel ’76 ha 44 anni, è ormai padre, quindi la fase della vita in cui si è totalmente in balia degli adulti -cioè l’infanzia e la prima adolescenza- li può finalmente guardare a distanza, quasi con l’occhio di un nonno, e lo dimostra la sua scelta di realizzare un film corale, non concentrato su un singolo soggetto, dunque, per forza di cose, più oggettivo.
“Gli anni in tasca”  possiamo pensarlo come un film della maturità (Periodo in cui trova il suo equilibrio emotivo) dedicato all’infanzia che un tempo l’aveva ossessionato, e che infine forse poteva vedere con occhio più lucido e distaccato.
Diverso è il caso di Doinel, che sceglie come alterego filmico per raccontare in modo marcatamente soggettivo la sua visione della vita e dell’infanzia, visione dura e di parte, com’era inevitabile. Christine infatti (sua prima e unica moglie nel ciclo Doinel) quando Antoine scrive il suo primo romanzo, lo rimprovera per la sua tendenza autobiografica, ricordandogli che la scrittura di un romanzo, non può né deve essere un regolamento di conti
Ricordiamo ancora che forse per la prima volta nella storia del cinema, un bambino diventa grande insieme ad un regista e a un ciclo di film che, qualora fossero romanzi definiremmo delle “suites” che nel complesso somigliano a un gigante romanzo di formazione. Solo che essendo film, andiamo oltre la lettura, e vediamo in contemporanea e in tempo reale, la crescita del bambino e quella del personaggio.
Molti anni dopo, un destino simile sarebbe accaduto ad Harry Potter, il maghetto più noto -e ricco- dei nostri tempi, ma questa è tutt’altra storia!...Sebbene, il meccanismo in sé non manchi di similitudini.

Harry Potter 1

Harry Potter 6
Fuori tema a parte (e coi dovutissimi distiguo), torniamo a Truffaut, al suo Doinel, nella foto qui sotto.
E'interessante notare la serietà sul volto di Doinel, che non ha troppo in comune con quella del maghetto: "Non si ride quando si è soli", afferma Truffaut per giustificare la serietà del bambino, ed è per questo che il suo personaggio è sempre così malinconico.  Ai tempi era anche un modo per restituire al bambino/attore una naturalezza che il cinema voleva rubargli, costringendolo a scimmiottare pose da adulto, o moraliste (Chi non ricorda il forzosissimo sorriso artefatto e le faccine patetiche di "Riccioli d'oro"? Eccola qua...)
Shirley Temple - Riccioli d'oro.
Torniamo ora, dopo lunghissima digressione, al video a cui dedico questo post "La luna di giorno"

Questi i film che vengono citati:

Les quatre-cents coups/ I quattrocento colpi (1959) - Ciclo Doinel-
Tirez sur le pianiste/ Tirate sul pianista (1960)
Jules et Jim/ Jules e Jim (1962)
Fahrenheit 451/Fahrenheit 451 (1966)
La mariée était en noir/La sposa in nero (1967)
Baisers volés/ Baci rubati (1968) - Ciclo Doinel-
La sirène du Mississipi/ La mia droga si chiama Julie (1968)
Domicile Conjugale/ Non drammatizziamo… è solo una questione di corna. (1970) –Ciclo Doinel-
Une belle fille comme moi/ Mica scema la ragazza! (1972)
La nuit américaine/Effetto notte (1973)
L’argent de poche/Gli anni in tasca (1976)
L’homme qui aimait les femmes/L’uomo che amava le donne (1977)
L’amour en fuite/L’amore fugge (1979) –Ciclo Doinel-
Le dernier métro/L’ultimo metro (1980)
La femme d’à côté/La signora della porta accanto (1981)
Vivement dimanche/ Finalmente domenica (1983)
Infine:
THE MAN WHO LOVES WOMAN/I miei problemi con le donne: Di BLAKE EDWARDS (1983), regista di film come “Colazione da Tiffany” (1961), o “La pantera rosa” 1964 e altri cult movie di questo calibro. Trattandosi di un “Fuori tema”, cito velocemente la trama:

David Fowler è uno scultore che adora le donne. Una fissazione la sua che lo porta a cercarne le ragioni nella psicanalisi. La bella analista Marianna lo ascolta con professionale pazienza ed interesse: David è pieno di problemi e di ansie, fino ad una temporanea impotenza. Sul rituale divano, David enumera a Marianna i suoi successi, ma anche la sua insoddisfazione, rivivendo l'infanzia e i primi approcci con il mondo femminile. Al termine dell'excursus, David si accorge di desiderare Marianna e quest'ultima capisce di amare il proprio cliente. David smette l'analisi per vivere alcuni mesi felici assieme alla sua nuova innamorata. Segue un periodo di crisi fra i due che decidono di separarsi. David riprende la sua vita di sempre, fra donne e sculture, ma un fortuito incidente d'auto ne conclude l'esistenza.

Questa lettura ci aiuta a capire perché il film sia stato tenuto in considerazione nel collage d’immagini aventi come trait d’union una passione de tipo feticista, termine che oggi associamo al sesso estremo o “bizarro”, ma che etimologicamente significa più semplicemente, amore di una parte per il tutto. Nel caso di Truffaut e di molti dei suoi personaggi, questa “parte” è rappresentata dalle gambe delle donne, e di nuovo preciso che raramente la cosa va intesa come la pensiamo oggi. L’eleganza è la caratteristica immancabile dei corpi ripresi: Tacco alto ma non troppo, caviglia sottile, ma non necessariamente... che anche quelle più grosse possono nascondere misteri inattesi, secondo Bertrand Morane (Charles Denner), personaggio principale di “L’uomo che amava le donne”, che diventa il riferimento base di tutti i film raccolti nel video.

Motivo? Qualcosa che scrive nel suo libro: “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia ”, ed è interessante citare alla lettera le prime parole pronunciate a inizio video (Parlo di “La luna di giorno” ovviamente) che parte proprio con questo film , i cui primi minuti –e anche gli ultimi- si svolgono in un cimitero: Simbolo per antonomasia della “fine”.
Tiziano Terzani e suo figlio nella vita reale.
Per un gioco mentale di libere associazioni, penso al recente “La fine è il mio inizio”- 2010- la cui scenografia deriva dall’adattamento di un libro che Tiziano Terzani (interpretato da Bruno Ganz), giunto al termine della sua vita, detta al figlio Folco (Elio Germano), creando con la narrazione orale e la scrittura, un senso di magica continuità, ovvero circolarità, fra la fine del padre e l’inizio del figlio.

Una scena del film.
In questo senso oserei dire “naturalistico”, ma senza riferimento alcuno alla scuola di Zola, quanto piuttosto…. Prendendo il termine alla lettera, la morte dell’uomo, di qualunque uomo, vede il suo epilogo in un cimitero (Scivolo fra le associazioni, e penso a “Closer”, alla faccia di Jude Law alla fine, quando parte la canzone che se per disgrazia l’ascolto mi da il tormento per ore.. I can’t take my eyes off you… and so it is…) , ma (Di nuovoTerzani!) il suo messaggio scritto, il libro, lo trattiene in vita, e crea continuità col figlio... in qualche modo così com’è accaduto al nostro personaggio: Bertrand Morane, salvo che lui non aveva figli e il libro è tutto ciò che rimane dopo la sua morte.

Il Video di Gianni e Massimo è circolare come la storia di Bertrand, e questo ci rimanda per forza all’idea di “compasso” che nasce per traciare cerchi, a loro volta simbolo di continuità fra vita e morte, e le donne, con le loro gambe, servono a dare “armonia” ma soprattutto “equilibrio” a tutto il globo terrestre. E’ a lei che la natura ha riservato il privilegio di dare la vita, la quale crea circolarità con la morte, che è il suo contrario. In quest’ottica, donna e morte suonano come un’antitesi, come due estremi inconciliabili, se non per un breve istante.
Al cimitero infatti, la voce di una donna: Geneviève Bigey (Brigitte Fossay) c’ introduce la scena che intanto si svolge sotto ai nostri occhi:

Ecco il momento della verità. Dove sta adesso è ben piazzato e può guardare un’ultima volta ciò che più apprezzava in voi. Mi ricordo un’ultima frase di Bertrand : “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia” . Dunque, morto Bertrand, il suo pensiero rimane custodito nel libro e nella mente di questa donna, che è la sola a poter dire di conoscerlo del tutto, e rappresentava la sola possibilità di salvezza per lui, anche se poi la vita ha avuto il sopravvento, provocando un finale che non ha nulla degli happy ending dei romanzi (che Bertrand leggeva in modo compulsivo, come Doinel o Truffaut stesso!), o dei film (in cui la trama dipende pur sempre dal regista).
La vita è solo una questione di circostanze... Di “Culo e vanità” dice Filippo Timi in un’intervista, e non vedo perché dargli torto!    [allego link intervista, per chi fosse interessato]

Anche Woody Allen in “Match Point” -2005- indaga sulla linea di confine che separa l’abilità individuale dal fato, dalle circostanze.

Locandina del film di Woody Allen.

Nel prossimo post analizzerò il rapporto di Bertrand Moraine coi libri e col processo creativo.
Infine, a volte potrà sembrare che i miei collegamenti siano strampalati, quasi fuori luogo, ma è il tipo di cose che rientra fra le numerose affinità elettive che ho col regista. Lui per primo amava comparare. Lo faceva di continuo, anche quando i termini di riferimenti erano oggettivamente fuori luogo, quindi nel blog a lui dedicato, mi sento di osare, e spero di non andare troppo oltre. D'altronde di siti "oggettivi" e molto ben dettagliati ce ne sono tanti. Mi piace l'idea che qui troviate un punto di vista soggettivo, un po' diverso, certo entro i limiti del possibile. Non mancano mai riferimenti a testi critici appropriati.













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